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Educare alla bellezza

Custodire e valorizzare il  patrimonio artistico, un imperativo           indeclinabile

 In un'età, la nostra, che si misura suo malgrado sempre più prepotentemente con tendenze distruttive, integraliste, capaci di scempi inauditi come quello di Palmira o Pedra, tutti avvertiamo la gravità del danno e un moto interiore di ribellione ci accompagna: fermare tale furia e proteggere tanta bellezza. Allertarci contro la logica iconoclasta è un impegno che ci vede  coinvolti come  componente della sensibilità collettiva mondiale. Proprio un progetto singolare quello su  “La Toscana di Pietro Leopoldo. Un'avanguardia sulla tutela  dei beni culturali”,  ci ha permesso di intraprendere  un cammino di scoperta e conoscenza straordinario in questa direzione e apprezzare il valore di quest'ultimi. Con stupore abbiamo compreso l'unicità e la ricchezza del nostro patrimonio artistico. Mai infatti avremmo pensato che in ogni più remoto angolo delle nostre valli si nascondessero tante meraviglie che musei, chiese e ambienti espositivi si premurano di raccogliere, conservare e rendere fruibili ad un pubblico sempre più preparato, consapevole e attento. E’ vero che il primo luogo in cui si può apprezzare il valore della cultura e dell'arte è la scuola con l'educazione artistica, la storia, la cittadinanza attiva, ma anche grazie al progetto è stato possibile farsi consapevoli  che la tutela del patrimonio significa custodia della nostra identità, trasmissione alle generazioni future del valore aggiunto del passato. Investiti di un compito che ci è parso più grande di noi, ossia valutare quanto e come siano conservate e valorizzate le opere d'arte più diverse -dagli affreschi, ai polittici, alle stesse strutture architettoniche- ci siamo avvicinati alle opere di Piero della Francesca, la cui arte  rappresenta il Rinascimento,  periodo sicuramente  affascinante per il fervore delle idee, le preziose realizzazioni, tanto da meritare l'attenzione e i propositi conservativi di enti, istituzioni e Stati, perché il valore è immenso e il bene diventa universale. In tutte le città stato d'Italia resta il segno di questo originale momento che ha traghettato la cultura verso la sponda della  modernità,  ripensando in chiave nuova e libera il mondo antico.  Pertanto Sansepolcro, Monterchi, Arezzo divengono scrigni a cielo aperto di cui andar fieri e di cui occuparsi. Sappiamo che ogni stato ha le sue emergenze da affrontare, tuttavia la priorità oggi condivisa pare proprio quella di formare una coscienza collettiva sul plusvalore di beni materiali e immateriali. Il come rimane un problema aperto. Riuscire a dare informazioni esaustive e rendere visibile e soprattutto  divulgato il bene è l'obiettivo. Per migliorare i servizi ecco che in prima battuta ci è stato chiesto proprio a noi studenti di farci valutatori e di intervenire attivamente nel processo di miglioramento degli stessi. Imparare ad ammirare la bellezza rende possibile la conoscenza e sarà la chiave dello sviluppo, anche in termini economici, di un paese che intenda proteggere la propria storia ed evoluzione permettendo a ciascuno di apprezzare  anche il più sconosciuto reperto.

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Restauro:

la seconda vita

dell’arte

Ci vuole competenza e amore per avvicinarsi all'arte, questo l'insegnamento di Silvano Lazzeri, restauratore d'eccellenza delle opere di Piero della Francesca. Con lui siamo stati iniziati alle più innovative modalità di conservazione dell'opera d'arte. Da qui parte il processo di salvaguardia e tutela, senza di che non ci sarebbe possibilità alcuna di preservare tanti capolavori dall'ingiuria del tempo e dal loro inevitabile degrado. Sofisticate tecniche d'analisi chimica, osservazioni sullo stato conservativo riescono efficaci per prevenire e intervenire nel restauro. Alla domanda su come avvenga il recupero di un affresco, Lazzeri spiega  “Il lavoro prevede più fasi: una ricognizione accurata delle condizioni dell’opera, la valutazione della  misura degli interventi per evitare il rischio  di rovinarla, la scoperta  della storia, la  pianificazione delle modalità d'intervento che tengano conto degli strumenti e dello stile specifico dell'autore.” Un mestiere in cuisostiene- “la passione è uno dei fondamentali motori e la componente emotiva molto forte per la delicatezza dell’impresa.”. E di impresa si tratta, con l’obiettivo di dare nuova vita all’opera che potrà mostrare tutto il suo più originale e autentico splendore, consentendo un viaggio virtuale dentro e intorno alle civiltà di cui è espressione. Una fonte d’informazione ancora più preziosa, quindi, il patrimonio di cui dispone l’Italia e la Toscana in particolare, per questo dobbiamo imparare a leggerlo, interpretarlo e conservarlo come testimonianza irripetibile del passato che ci appartiene e ci parla di sé con un linguaggio  di “ luci, colore e forme. “                                                                                               

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                      Un imperdibile incontro

Osservare,esaminare, valutare primo step per avvicinarsi all'arte e innamorarsene

Oggi, ad un bilancio sul progetto, che ci ha visto critici valutatori di alcuni dipinti, del loro stato di conservazione, possiamo certamente dirci più sensibili rispetto all'importanza del patrimonio artistico e ci sentiamo parte attiva nel processo di custodia e tutela. L'esperienza diretta, l'osservazione sul campo sullo «stato dell'arte» di opere del passato, nei diversi musei oggetto della nostra indagine, non solo ha fornito gli strumenti per maturare senso critico, condividere la responsabilità del rispetto ma ci ha insegnato ad apprezzarne il valore, a studiarle con passione, a meravigliarci e stupirci, a provare l'emozione del bello. Analisi e riflessioni, condotte secondo un preciso standard valutativo, ha permesso di osservare alcune criticità sui servizi e la fruibilità del bene, favorito suggerimenti ai direttori dei Musei per migliorare l'interazione tra l'opera e il pubblico sempre più esigente e interessato ad apprendere. Il vero feedback positivo però del lavoro sta nell'aver preso coscienza che il nostro paese deve «spolverare» tutte quante le sue ricchezze e farle vivere al mondo. Non è più sufficiente esporle, per esaltarne il valore serve cura, impegno, risorse, prospettive future. Abbiamo capito che l'arte è la più importante forma di trasmissione della storia: conservarla e valorizzarla equivale a mantenere l'identità della nostra civiltà, permettendoci di ricostruire il nostro passato e le nostre origini. Un'esperienza, la nostra, che ci ha segnato perciò. D'ora in poi, quando distrattamente passeggeremo per le nostre città, forse, lo sguardo potrà fermarsi su una particolare forma architettonica, un fregio, una scalinata, una statua, un palazzo che non ci saranno più indifferenti, piuttosto ne  respireremo la storia e orgogliosamente sentiremo di far parte di un'eredità di  genio e creazione che supera le troppe zone d'ombra dell'umanità.

 

 

Parole vuote

La forza delle parole oppressa dalla nuova grammatica digitale

1 immagineFigli dei traguardi tecnologici ci sentiamo fortunati al pensiero che il web, le moderne piattaforme ci consentano in tempo reale di comunicare, imparare a relazionarci con chiunque, fosse anche all'altro capo del mondo, insomma di viaggiare in rete, dentro una community globale.

Certamente telefonia, informatica, elettronica, annullando tempi e spazi, hanno avvicinato gli uomini e favorito contatti e scambi altrimenti negati dalle distanze. Tuttavia il piacere di incontrare l'altro si va sempre più sostituendo con la rapidità della comunicazione e così confezioniamo messaggi essenziali, piatti, aridi più di un telegramma. Risultato? Un bel corto circuito! Sì, di fatto non parliamo più ma ci affidiamo ad un lessico incapace di restituire la forza e il potere delle parole, quelle che possono coinvolgere, emozionare, farci riflettere, condividere pensieri, idee, sogni, sentimenti, costruire relazioni. Acronimi come TVB, emoticon, simboli, in linea con i ritmi serrati dei tempi moderni, ci sottraggono lo spazio del dialogo, del confronto e dello scontro, ovvero quell’unica modalità che ci fa sentire vivi. Stereotipato com’ è il modo oggi più diffuso di comunicare, pur immediato, è freddo, indifferenziato, distaccato e soprattutto impersonale, perdendo perciò in enfasi, tono, ritmo, mimica, forza. Dimenticando la parola, svuotiamo di senso e valore sentimenti, impressioni e pure idee. Quando invece per secoli l'uomo si è raccontato attraverso la parola e inconsapevolmente ci ha regalato la possibilità di scoprirne unicità, storia, valori, animo e la medesima umanità che ci unisce. Per questo possiamo ancora oggi piangere insieme a Priamo la morte del figlio nella tenda di Achille e soffrire il suo dramma. Vivere l'angoscia dello smarrimento e della dannazione nel viaggio che Dante ci fa compiere nel suo inferno. Provare la stessa pietà di Nestore per lo spettacolo di morte dove non ci sono più né vinti né vincitori, indignarci di fronte alle ingiustizie subite dai tanti personaggi ideati dai grandi narratori e vivere la stessa impotenza degli “umili”, dei “vinti”, degli “offesi”. Insomma “sentire” è la chiave per riflettere e forse cambiare ciò che non funziona, dialogare per costruire, impedire la solitudine, l’individualismo che l’incomunicabilità genera. Infatti consolle, smartphone e tastiere hanno cambiato radicalmente il nostro modo di rapportarci con gli altri, trasformando i linguaggi nonché le nostre abitudini. Non ci incontriamo più, l’appuntamento naturalmente è su Whatsapp, Tweetter, Fb. come fossero luoghi reali e non virtuali, tanto che le nostre relazioni si riducono a semplici contatti impedendo quell’empatia che solo l’incontro reale può creare, quello scambio che ci rende umani e ci permette di conoscere e conoscersi. Ci isoliamo, disertando le occasioni più belle per condividere e fare esperienze comuni, quelle da ricordare e custodire nella memoria del nostro vissuto, su cui ridere e scherzare magari insieme agli amici più cari seduti fianco a fianco ad uno stesso tavolo di conversazione.

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Oltre lo schermo

SMS

Verità o finzione

Se le parole evocano, lasciano immaginare, danno voce al sorriso, al pianto, all’ira e ad ogni altra passione, quelle affidate agli SMS sono davvero autentiche, possono ricondursi all’universo più sincero di ciascuno? Secondo ricerche statunitensi sì, il filtro della distanza lascerebbe più spazio alla franchezza, alla libertà di esprimersi. Per qualcuno forse è più facile parlare attraverso un filtro, magari per nascondere le proprie debolezze e paure, per non esporsi e non rivelare la parte più intima della propria personalità. Servirsi degli SMS come uno scudo protettivo per celarsi è l’aspetto più inquietante che invece emerge dai sondaggi nazionali dove si denuncia proprio che non sempre ciò che scriviamo è vero. Avere un nickname su un social, non confrontarsi a viso aperto, può fornire il pretesto per mentire, enfatizzare, affascinare l’interlocutore, sentirsi onnipotenti. Il gioco della finzione rischia però di compromettere storie, relazioni, di favorire la chiusura di amicizie, perché, prima o poi, la verità emerge con prepotenza. Ma come capire la credibilità di certi SMS? Certo non sempre possiamo. E se applicazioni sofisticate possono smascherare false giustificazioni, non sono in grado di abbattere il muro invisibile dello schermo, scoprire la verità dietro like e commenti, o magari subdole, ingannevoli identità. Così la diffidenza diviene la nostra arma di difesa che paradossalmente mina le basi stesse delle relazioni umane e ne inquina la natura. Mentre i rapporti si corrodono, diveniamo incapaci di esprimere pienamente i sentimenti, ci sveliamo anaffettivi, sempre più sconosciuti anche a noi stessi.

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Ciao, come stai? Domanda fuori moda

Kontatto o relazione”: la trappola del touchscreen per giovani non più capaci di comunicare

Nel nostro primo anno di vita possiamo interpretare suoni e lingue diverse, anche senza conoscere la parola. Lo chiamano “apertura celestiale” questo periodo dove ognuno di noi ha più connessioni di quante ne avrà mai da adulto. Quando tale magia finisce tutti i nostri pensieri viaggiano su binari prestabiliti, per sempre. Così uno spot pubblicitario esalta le potenzialità tecnologiche che dovrebbero restituirci quelle capacità di interpretare il linguaggio, l’anima del mondo. Forse potrà essere vero, ma non possiamo dimenticare che la conoscenza, la comprensione passa attraverso l’esperienza diretta, il dibattito che non può certo ridursi allo spazio del web. Scienza e tecnologia superando i limiti stessi dell’immaginazione hanno abbattuto frontiere, aperto spazi inesplorati, conducendoci in un inebriante, folle viaggio nell’etere, ma hanno anche contribuito a disumanizzare il rapporto tra gli uomini, come sostengono recenti studi di psicologia. Ma come resistere al fascino di una video chiamata, quando siamo tanto affamati di meraviglie? Certo è difficile e sicuramente noi siamo i primi a rimanere incollati allo schermo senza socializzare anche quando stiamo insieme agli amici. Preferiamo i videogiochi penalizzando il rapporto e, aspetto ancora più temibile, annulliamo quanto di più autentico ci sia nel fascino dell' incontro: stare in ascolto. Diventa perciò raro e improbabile ormai chiedersi: ciao, come stai? Il nuovo amico con cui divertirsi, non avvertire la noia, con cui stare in compagnia è il cell.,pericoloso surrogato di un amico vero, che ci allontana dalla realtà.

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QN - LA NAZIONE - uscita del 12/01/2016

Un luogo, un’anima

Tra le pieghe del passato le prospettive del futuro

UNICITA' SOCIANA

Carattere e spirito: dentro il “filo” della memoria

 

E' suggestivo giungere in un paese e osservare che un negozio ultra moderno ha sede in una piazza stile barocco, vicino ad un museo d'arte rinascimentale. Così è Soci: Piazza Garibaldi il cuore, cinema, pizzerie, lavanderie, centri di telefonia, caffè culturali intorno. Strana commistione che però potrebbe aiutarci a capire come, nel tempo, si è evoluto questo luogo. Se tutto ha la sua specificità quella che ci differenzia, anche Soci non fa eccezione e il suo DNA risiede nel fascino nascosto di borghi e campagne in cui nessuno si aspetterebbe di trovare una storia così interessante. A raccontarla è ora l’austera Mausolea, antica proprietà dei frati Camaldolesi, poi divenuta scuola statale secondaria e infine ritornata ad essere luogo dalla vocazione agricola e di ricerca. E’ il berignale, un canale che alimentava in tempi remoti le gualchiere per la sodatura di panni di lana, archetipo di quel tessuto che meglio incarna la tipicità toscana: il panno Casentino. O ancora il lanificio, attivo dal 1848 dove oggi l’artigianato di un tempo si coniuga alla ricerca, alla sostenibilità, alla creazione in microfiliere di nuovi manufatti attenti alle richieste del tessile. Questa memoria colma le lacune prodotte dal tempo, ma alla sua unicità contribuisce anche il presente e pure la scuola, noi ragazzi impegnati a realizzare il nostro futuro sapendo che solo la bellezza salverà il mondo.

 

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CASA ROSSI: uno scrigno di preziose memorie

Tracce di vita rurale, modelli socio- culturali, versatilità di una terra

 

2 12 01 2016La storia di Soci è racchiusa in un luogo di ricordi, che si apre entrando nel granaio dell'azienda agricola della famiglia Rossi: l’ecomuseo rurale di Casa Rossi. Qui inizia un affascinante viaggio nel mondo mezzadrile della nostra valle. Oggetti, utensili, strutture agricole antiche ci accompagnano in un magnifico sentiero lungo gli argini dell'Archiano. La collezione, racconta il proprietario, raccoglie circa 3.000 oggetti e documenti riferiti alle pratiche agricole mezzadrili del Casentino, perciò da concepirsi come un laboratorio sulla tradizione e sulla cultura locale, da ricondurre alla storia di Soci di cui testimonia la dimensione materiale. Gli strumenti agricoli esposti, i documenti, i libri contabili, i testamenti, persino le quietanze di pagamento, i disegni, le fotografie tracciano la nostra matrice rurale custodendo così la memoria del modello socioculturale che è stato per secoli la base della vita economica della Toscana. La raccolta recupera tutte quelle testimonianze di attività ormai scomparse come la coltivazione e lavorazione della canapa, la coltivazione del cardo dei produttori di lana, conserva anche antichi lavori, con attrezzi per le colture del passato sia collinari che della pianura, come quella del gelso, insieme ad utensili per le attività collaterali dei fabbri e dei falegnami, o degli impagliatori e, non ultimo, fornisce diversi spunti di riflessione intorno alle sorprendenti risorse della natura, all’ingegno e alla fantasia degli uomini che oggi possono valorizzare, rilanciare l’agricoltura, innovarla e farne una leva importante del futuro.